La commedia teatrale «Non è vero... ma ci credo»,
composta nel 1942,
di Eduardo De Filippo,
messa in scena il nove di ottobre del 1942,
rappresenterebbe
anche la gobba del personaggio teatrale Alberto Sammaria,
come ha letto .
Anche sulla gobba, Luigi Pirandello,
a proposito dell'avere bruciato alcune sue carte,
nella lettera a Lina da Palermo del 25 marzo 1887,
aveva scritto:
I becchi e le penne dei miei poveri uccellini dell’alto, fra tanta cenere, emanavano il più brutto odor di corno bruciato, e la gobba di Caro Gioja nel crepitio della fiamma pareva un vulcanetto di fango in eruzione.
CMLibri inizialmente non era riuscito a capire chi fosse Caro Gioja;
poi ha scoperto da un sito internet pirandelliano
che era un personaggio letterario di un poema eroicomico giovanile ispirato al titolo del romanzo di Émile Zola «La joie de vivre»
del 1884.
Dal Libro secondo, II,
del romanzo pirandelliano «Uno, nessuno e centomila»:
Non diedi mai a divedere né fastidio né piacere di quella loro invasione, benché m’irritasse specialmente la vista d’una vecchina sempre pigolante, dagli occhi risecchi e la gobba dietro ben segnata da un giubbino verde scolorito, e mi désse allo stomaco una lezzona grassa squarciata, con un’orrenda cioccia sempre fuori del busto e in grembo un bimbo sudicio dalla testa grossa schifosamente piena di croste di lattime tra la peluria rossiccia.
Povero piccolino in questo contesto con squallida verità reale e realistica,
non falsa!
Gli dareste una carezza,
come suggeriva decenni dopo un papa, papa Giovanni XXIII?
La gobba nella novella pirandelliana «Acqua e lì»,
pubblicata il venticinque di aprile del 1897 con il titolo «Il dottor cimitero»
(avevo visto mesi fa una rappresentazione pirandelliana di un cimitero),
poi ripubblicata definitivamente sul Corriere della sera con il titolo finale il quattordici settembre del 1923,
dalla raccolta «Tutt'e tre»,
del 1924,
di «Novelle per un anno»:
Accorre una povera squallida donna, senz’età, con certi occhi atroci,
velati e semichiusi, come se le palpebre le pesino, una più e l’altra
meno. Stretta nelle spalle, ha la gobba, dietro, ben segnata dal
giubbino verde sbiadito: la gobba delle povere madri sfiancate dalle
cure dei figli e della casa.
Poveretta anche questa «povera squallida donna»,
sembra un po' pietosamente orrida con quegli occhi atroci e velati,
stanchi anche sulle palpebre.
Torna il giubbino verde.
Clementina nella novella «I tre pensieri della sbiobbina»,
pubblicata il cinque di febbraio del 1905,
poi nuovamente nel 1915,
compresa nella raccolta pirandelliana «La rallegrata»,
del 1922:
Bravi! Farlo intendere alle gambe, adesso,
al busto di Clementina, che non si doveva più crescere! Busto e gambe,
dacché, nascendo, ci s’erano messi, avevano voluto crescere per forza,
senza sentir ragione. Non potendo per lungo, sotto l’orribile violenza
di quella manaccia che schiacciava, s’erano ostinati a crescere di
traverso: sbieche, le gambe; il busto, aggobbito, davanti e dietro. Pur
di crescere…
Con il busto,
poveretta Clementina.
Un mio amico ha il busto,
forse ne aveva uno temporaneo.
Da un'altra novella pirandelliana,
un'ulteriore novella,
«Difesa del Mèola (Tonache di Montelusa)»:
All'alba, una vettura era pronta nella piazzetta innanzi alla badia; e quando le tre educande, due belle e vivaci come rondinine in amore, l'altra gobba e asmatica, scesero con la loro maestra a parar l'altare della Madonna del Lume…
Sembra un contesto relativamente simile quello di «Visto che non piove (Tonache di Montelusa)»,
con i padri liguorini,
che dovrebbero esserci ancora alla chiesa dell'Itria,
nel centro storico di Agrigento;
con il clero montelusano,
con il clero agrigentino,
di Agrigento;
con i personaggi letterari di Marco Mèola,
del monsignor Partanna:
Se la nipote di Monsignor Partanna, infatti, la educanda rapita, era brutta e gobba, belli e ballanti e sonanti erano i denari della dote che il Vescovo era stato costretto a dargli; e, in fondo, i pezzi grossi del clero montelusano, ai quali non era mai andata a sangue quella promessa del loro Vescovo di far tornare i padri Liguorini, se non amici apertamente, avevano di nascosto, anche dopo quella scappata, anzi appunto per quella scappata, seguitato a veder di buon occhio Marco Mèola.
Le spalle del professor Bernardino Lamis nella novella «L'eresia catara»:
Non solamente questo peccatuccio di gola, ma tante e tant'altre cose potevano essere perdonate a quell'uomo che, per la scienza, s'era ridotto con quelle spalle aggobbate che pareva gli volessero scivolare e fossero tenute sú, penosamente, dal collo lungo, proteso come sotto un giogo.
La falda della tuba sulla gobba del dottor Liborio Nicastro nella novella "«In corpore vili»":
Poco dopo entrò il dottor Liborio Nicastro, piccino piccino, vecchissimo, tutto rattrappito dall'età. La falda della tuba gli posava quasi su la gobba.
La rassegnazione a portare la gobba dell'artista Nane Papa in «Candelora»:
Sa bene lui che ogni gobbo bisogna che si rassegni a portare la sua gobba.
C'è «codesta miserabile vecchia»
nella novella «I due giganti»,
dove il narratore sembrerebbe essere «il barbuto guardiano gallonato»:
Anche però il vostro volto, s'io vedo bene, è tutto crepe e solchi di rughe, e anche i vostri capelli hanno appena appena un vestigio del loro primo color biondo d'oro; e vorrei pregarvi di ricordare, se non sono importuno, che cosa vi sembrava codesta miserabile vecchia mezzo gobba che ancora vi strascinate accanto e tutto il mondo e la vostra stessa persona, quando vi ardevano dentro in belle fiammate illusioni, speranze e desiderii.
Infine la gobba di zì Dima Licasi in una novella pirandelliana famosissima
in italiano,
in siciliano,
«La giara»,
«'A giarra»:
Zì Dima Licasi: vecchio sbilenco, con la gobba pendente da un lato; giunture storpie alle gambe - occhi duri, fissi, da maniaco - porta, appesa per una funicella alla spalla, una cesta con gli attrezzi del suo mestiere, trapano, ecc., e - attraverso - un grosso ombrello di cotone, verde, un po' stinto.
«Il berretto a sonagli»
di Luigi Pirandello secondo Eduardo De Filippo,
secondo Paolo Stoppa,
secondo Turi Ferro e Salvo Randone.
Ed anni fa a Milano e Torino,
secondo Gianfranco Jannuzzo (Ciampa),
con Francesco Bellomo,
produttore teatrale,
e le attrici teatrali Emanuela Muni ed Anna Malvica,
«Il berretto a sonagli».
Uno degli attori teatrali era Gaetano Aronica (il personaggio letterario di Fifì).
Infine,
non ho visto l'opera teatrale «Non è vero... ma ci credo»
di Eduardo De Filippo ad un teatro di una città vicina alla mia,
su cui scrivo fra alcune righe,
davvero le finali.
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la rappresentazione stasera,
alle ventuno e trenta,
di questo martedì ventinove di luglio del 2025.